Genesi del dipinto


Prefazione
Per l'inaugurazione dell'Ultima Cena del Maestro Alfredo Pettinari

Martedì 7 dicembre 2004

Con gioia saluto tutti voi, carissimi miei parrochiani e concittadini di Tavazzano.
Con sentimenti di riconoscenza e affetto vivissimi saluto e ringrazio il nostro Maestro Alfredo Pettinari, che con ispirata maestria ci ha dipinto L'ultima cena.
Ringrazio parimenti tutti coloro che hanno apportato la loro molteplice collaborazione perchè quest'opera fosse attuata e offerta alla nostra contemplazione.
In particolare la def.ta Zucchelli Bambina, umile e profonda donna di fede del popolo di Dio, sensibile all'arte, che tanto si è adoperata per la realizzazione dell'Ultima Cena e dei dipinti della Cappellina dell'Immacolata.
A lei sarà dedicata l'Ultima Cena.
Sono pure riconoscente ai proff. Don Roberto Vignolo, Giovanni Cesare Pagazzi e Don Bassano Padovani per il ruolo prezioso contributo alla presente pubblicazione, che viene diffusa contemporaneamente in lingua italiana, rumena e francese.
Dopo il cielo pittorico dedicato alla Madonna Immacolata, ecco davanti a noi la maestosa Ultima Cena, che pone al centro della nostra preghiera il Sacramento che rinnova per noi la Passione e la Morte e la Risurrezione di Cristo.
Il vasto ma un pò desolato presbiterio della nostra chiesa parrocchiale subisce un avvio di rinnovamento con questo gigantesco dipinto (metri 8 x 1,80), frutto di due anni e otto mesi di lavoro comprendente lo studio biblico-teologico dell'Ultima Cena (con accurata ricerca nei Vangeli Canonici e Apocrifi di episodi riguardanti i Dodici Apostoli per poterli meglio tipizzare), la realizzazione dei bozzetti e infine la fase pittorica vera e propria.
Un'opera maestosa che raffigura il cuore del mistero di Cristo e della vita della Chiesa e dell'Umanità: Gesù e gli Apostoli riuniti per la Cena Pasquale, l'ultima Cena di Gesù.

Domina tutta la scena la figura di Cristo, il cui volto ha lineamenti perfetti, affascinanti che in quella sua assorta consapevolezza lascia trasparire tutta la propria umana e divina bellezza.
E' giunta l'ora suprema della sua vita, quella svolta decisiva impressa alla sua missione di Redentore di tutta l'umanità.
Non c'è spazio per incertezze o paura. Una disposizione interiore traspare dal dipinto come fattore dominante su tutto, ed è l'amore.
Quello gratuito, disinteressato, oblativo, che ha ispirato l'intera sua vita, ogni sua scelta e opera; e che ora tocca il suo vertice, la suprema perfezione.
La cena è liberamente ambientata sulla cima di un monte, un anticipato compimento del banchetto universale sul monte Sion, celebrante la vittoria sul male e la morte, indetto dal Signore e profetato da Isaia.
L'intenzione segreta dell'autore è di ridurre l'arte alla sua origine, al suo primo principio, che è Dio stesso, il cui sguardo di amore e di simpatia sul mondo si materializza nei tre archi che, ai nostri occhi, suggeriscono un mondo nuovo, una nuova creazione.
Conformemente al suo disegno, Dio vuole ricapitolare tutto nel suo Figlio, come Logos incarnato, il fascino irresistibile dell'Uomo Nuovo, del Nuovo Adamo.
Con quel volto giovanile - pure un tratto della maggioranza degli apostoli -, il pittore dà voce intensa al suo evidente desiderio di affascinare soprattutto i giovani, perchè si rispecchino in Lui, che riflette Dio Padre, emanante infinita bellezza.
Centrati su quel volto, nel quadro distinguiamo tre piani: il paesaggio circostante, le figure di Gesù e dei discepoli, ed infine la simbologia dei gesti dei personaggi e degli oggetti sulla mensa.
La presente pubblicazione evidenzia il percorso teologico-biblico, artistico e contemplativo che soggiace a questa mirabile Ultima Cena.
Speriamo di offrire una raffigurazione che ispiri passione e riflessione profonda sull'Eucaristia, per farne sempre più il nostro centro vitale, la sorgente inesauribile dell'amore, l'alimento della nostra vita da vivere come una vera festa, da celebrare come offerta spirituale quotidiana, unita all'offerta di Gesù.
Ecco l'ideale del cristiano: accogliere Gesù che si è identificato nella sostanza e nel simbolo del pane e del vino e invita tutti noi alla comunione con Lui.
Egli vuole che il suo amore - la sua stessa vita donata in sacrificio - costituisca il suo testamento perenne, sempre disponibile nella sua Chiesa, perchè ne facciamo il manifesto della nostra vita.
Unirsi a Gesù, Pane di Vita, Pane di Comunione, per formare il suo corpo vivente che è la Chiesa, pane spezzato per il mondo.
"Dopo il miron veniamo alla mensa: qui è il culmine della vita, giunti qui non mancherà più nulla alla felicità che cerchiamo. La mensa non ci dà più soltanto la morte e il sepolcro e la partecipazione ad una vita mogliore, ma lui stesso, il risorto; non più i doni dello Spirito Santo, per quanto grandi si possano ricevere, ma lo stesso benefattore, il tempio stesso su cui è fondato tutto l'universo dei doni". (N. Cabasilas, La vita in Cristo, Utet, Torino 1971).
Offriamo quest'opera d'arte che al tempo stesso è pure luminosa testimonianza di fede, perchè tutto il nostro popolo possa godere della presenza di Gesù, ripreso nel momento culminante della sua vita, nell'atto di offrire un'amore senza limiti, sorgente d'infinita luce e di grazia, di bellezza che come un'onda purificatrice rinnovi la Chiesa e il Mondo.


Lo sguardo di Gesù

Un grande corpo vivo, che pulsa e spera, un microcosmo ben raccolto in se stesso, ma circondato da un più vasto, macrocosmico orizzonte: ecco l’impressione suscitata da questa tela, imponente e mite al tempo stesso, frutto di appassionato e rigoroso studio pittorico, che attinge alle fonti bibliche e non, nel solco di una iconografia bimillenaria onorata con creativa Fedeltà: L’ultima Cena del Maestro Alfredo Pettinari.
Un corpo, soprattutto, che respira di profonda attenzione, e che si direbbe rappresentato proprio in quell’attimo in cui, quando siamo catturati da un grande evento, quel misterioso, vitale scambio di ossigeno - che incamera il benefico, fugacissimo soffio, e poi lo restituisce alla nostra bistrattata atmosfera circostante - sosta e si trattiene, sospendendosi quasi a sostegno di una miglior concentrazione.
Dalla perspicacia, perfin profetica, dell’arte docile all’intuizione geniale quanto alla feriale fatica, eccoci regalato dal gioco di sguardi dei personaggi, quel momento di magica, silenziosa sospensione, insinuata nelle parole più decisive di Gesù, quando, per l’ultima volta quaggiù, siede a mensa con i suoi, con i dodici.
E' un Gesù tutto assorto e compreso, circondato da apostoli pure loro mai così compresi e attenti a quanto egli ha annunciato e ancora rivelerà del destino suo e loro, tutti, ciascuno a modo suo, percorsi da diversi fremiti che l'acuto commento di Don Gianfranco e di Graziella, aiuta a percepire.
In Gesù ben compatto, saldamente aderente alla volontà del Padre, ma anche come non mai proiettato oltre, in avanti...
Cercando un'illustrazione nella pagina evangelica, vien da pensare al Gesù che, proprio nel contesto di quella cena, ha in cuore di proclamare ai suoi la propria speranza più forte d'ogni tristezza:
«Io vi dico: d'ora non berrò più di questo frutto della vite, fino al giorno in cui lo berrò nuovo, con voi, nel regno del Padre mio!» (Mt 26,29).
Unico personaggio guardato da tutti i personaggi, unico a guardarci mentre lo guardiamo, Gesù però non ci squadra, non ci fissa, i suoi occhi non plagiano, e nemmeno ci inquisiscono.
Rivolti verso di noi, puntano in realtà a qualcuno che solo lui veramente intuisce, e che in parte almeno anche noi attraverso di lui, che ne è abitato, intravediamo.
Quel suo sguardo misteriosamente sospeso diventa così come il cuore, il respiro stesso del mondo, dal momento che ogni orizzonte retrostante trova in Lui il baricentro: quello dei dodici commensali (uomini e giovani reali, pieni di tante energie, oscillazioni, fragilità), contornati da un cielo cupo, ma ormai aurorale, dai monti in attesa di Luce, da una pianura già matura di raccolti.
Quegli occhi schiudono una finestra sul regno del Padre suo, un regno che sarà pur sempre questa stessa umanità, questo stesso universo trasfigurato dalla presenza di «Dio, tutto in tutti» (1 Cor 15,26).
Mai come ora, intento all’opera del Padre, quello sguardo ci chiama alla coraggiosa concentrazione interiore più profonda e alla dilatazione degli orizzonti più estremi:
«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perchè senza di me non potete far nulla. ...
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diveniate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore! Se osserverete i miei comandamenti, rimmarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. ...
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perchè andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perchè tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
(15,4-17)
Assieme alle parole in cui Gesù riversa la speranza di futura risurrezione e di comunione coi discepoli, la parabola della vite e dei tralci illustra altrettanto bene questa potente testimonianza di autentica arte sacra - un genere in effettiva crisi da un paio di secoli almeno - a riprova che ancor oggi non manca chi presta docilità al magistero dello Spirito.
Convenendo come singoli e come assemblea liturgica alla propria amata Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, ogni membro di questa comunità ecclesiale civica potrà godere di questa felice impresa pittorica di un fratello e concittadino: un'opera capace di farci tornare a respirare e a contemplare il senso più vero della vita, della fede.

Don Roberto Vignolo


L'arte a servizio della fede

I brevi pensieri che seguono trovano la loro origine dalla semplice contemplazione dell’opera di Alfredo Peuinari.

Ai miei occhi sono emersi tre elementi: lo sfondo, la tavola, i personaggi.

Lo sfondo... Colmare i vuoti... L'arte a servizio della fede
Lo sfondo sul quale si svolqe la scena raffigurata da un quadro non è mai casuale.
L’Autore ha scelto di inquadrare il suo racconto pittorico all’interno di una specie di veranda o comunque di una parete che presenta tre grandi finestre o arcate.
Dietro quelle arcate è visibile un panorama e dalla prospettiva utilizzata ci fa Capire che il luoqo in cui siamo posti sta in alto, sulla cima di un monte.
Arcate e panorama sono sfondi di un evento che viene rappresentato in primo piano. La triplice arcata raffigura lo squardo colmo di simpatia sul mondo da parte della Trinità, e il panorama rappresenta la nuova creazione che Gesù instaura con L'ultima Cena.
Vorrei cogliere il messaggio trasversale che ci viene da questo elemento: il bisogno di colmare i vuoti.
E come l’artista ha colmato lo sfondo dell'ultima cena, così... è emerso il desiderio di colmare il vuoto architettonico della Chiesa parrocchiale di Tavazzano.
Se non ci fosse stata questa volontà, oqqi non ci sarebbe sicuramente neanche quest'opera artistica. La sottolineatura - quasi banale - serve a ricordarci che purtroppo la nostra epoca non vede qrandi slanci in tal senso.
Abbiamo tutti sotto gli occhi i recenti tentativi di costruire nuove chiese, a volte con progettazioni ardite, ma quasi sempre povere di successivi tentativi di riesprimere, attraverso opere artistiche, i grandi simboli della fede.
Colmare i vuoti: sono gli artisti "ispirati" a farlo con le loro opere, ma con loro sono le comunità cristiane che devono continuare a credere nella possibilità di mettere l'arte a servizio della fede.
La chiesa di Tavazzano oggi non è semplicemente un salotto con un quadro in più appeso alle pareti; oggi lì è visibile una testimonianza artistica che da sola costituisce una catechesi per la gente che la frequenta, vera "biblia pauperum".

La tavola... Ciò che costituisce il cuore della nostra fede... Il ricordo dell'ultima cena.
Se le arcate cadenzano la parte superiore dell'opera, la tavola da pranzo caratterizza l'intera parte inferiore.
E' la tavola che ositò l'ultima cena, quella di Gesù con i suoi dodici apostoli che diventa l'oggetto centrale del dipinto.
Ma perchè proprio l'ultima cena? La storia dell'arte ci testimonia i tentativi di rappresentare i molteplici aspetti della fede cristiana con una varietà infinita di soggetti.
Da questo dipinto intuiamo subito la scelta dell'autore: la volontà di dichiarare, come in un atto di fede, che il vertice di tutto è il gesto con cui Gesù manifestò la volontà di donare, per amore, tutta la sua vita.
E poichè ciò avvenne durante una cena, ecco che gli elementi della cena diventano centrali. I simboli posti sulla tavola sono pregni di significati reconditi.
Ogni volta che nella chiesa di Tavazzano i fedeli si ritroveranno per celebrare l'eucaristia, con un solo colpo d'occhio potranno guardare la croce (e su di essa Gesù appeso) e il quadro dell'ultima cena, che anticiperà il rito della messa con il quale faranno memoria del gesto del pane e del vino. Lì potranno "leggere" la verità di Dio, che è amore, la verità di Gesù, che è dono, ma anche la verità di loro stessi, la via che devono a loro volta percorrere. Prendere, mangiare, bere, fare memoria esprimono la sequela, cioè la profonda condivisione dello stesso destino di Gesù.

I personaggi... Percorsi possibili...Condividere o andarsene.
Non commento i vari personaggi, così straordinariamente vivi e belli.
Mi colpisce il "ritmo" con cui sono disposti, a gruppi di tre: i tre che, descrivendo una linea discendente, vanno dal lato sinistro verso il centro; gli altri tre, sempre sul lato sinistro, che risultano tutti abbracciati tra di loro e infine a Gesù; i tre che fanno un triangolo accanto a Gesù, sul lato destro; e infine gli altri tre, di cui due curiosamente posti agli angoli dell'arcata destra e uno, Tommaso, pensieroso, seduto in basso.
Mi piace scorgere, in questo ritmo, come un gioco di relazioni, di vicinanze, e di distanze, di presenze e di assenze.
Quasi a dire che il rapporto con Gesù - cioè la nostra relazione di fede - non ha davanti a sè un solo percorso possibile; la fede di Pietro è stata diversa da quella di Giovanni e da quella di Andrea... Con quella cena Gesù ha offerto un appuntamento a tutti: c'è chi riesce a condividere, ma c'è anche chi alla fine si allontana... Ma al di là di questi esiti rimane una certezza: il pane e il vino (il corpo e il sangue) è dato per tutti, anche per chi tira indietro la mano e se ne va da tavola.
Mi pare il commento migliore: «Gesù ha istituito l'Eucaristia durante un banchetto, scegliendo dunque un contesto umano, che è nel contempo fra i più semplici e quotidiani e fra i più ricchi di valori simbolici: intimità, fraternità, amicizia.
La gioia della cena di Gesù non trova unicamente la sua radice nel dono della libertà che Dio ci ha fatto e neppure soltanto nella promessa della salvezza futura, ma anche nella fraternità che già ora, attorno a lui, gli uomini possono costruire e gustare.
Non a caso Luca, raccontando la cena dei primi cristiani, dice: "Spezzavano il pane nelle case prendendo i pasti con Letizia e semplicità di cuore" (At 2,46).
L'Eucaristia è istituita fra la constatazione del tradimento di Giuda e la profezia dell'abbandono dei discepoli.
Il dono di Gesù avviene nella consapevolezza dell'abbandono e del tradimento: "Nella notte in cui veniva tradito", cioè consegnato (1 Cor 11,23).
E' dunque un dono che scaturisce dal perdono. Gesù si è donato mentre veniva consegnato.
Le prime comunità cristiane non celebravano l'Eucaristia senza ricordare il contesto di tradimento e di incomprensione che ha accompagnato i momenti più importanti della vita di Gesù.
Nello stridente contrasto fra il gesto di Gesù che si dona e il tradimento degli uomini, la Chiesa ha colto la grandezza dell'amore di Gesù, la sua gratuità, la sua solidità».

Don Bassano Padovani


Il cielo in un mantello

Lo stile appare nei dettagli ed è proprio un dettaglio che ha attirato la mia attenzione: il mantello del Signore, dai diversi toni di azzurro e di blu, riprende il colore del Cielo. La linea orizzontale e lontana dello sfondo si piega accogliente e diventa domestica, sicura come un golfo, ospitale come un porto. Le parti più scure e turbate del Cielo si trasformano, nel raccoglimento del mantello, in profondità discreta che annuncia un mistero.
Nei racconti evangelici della Passione, il Cielo partecipa al destino del Figlio tan'è che si oscura al momento della sua morte. Ma il Cielo sta, in questo quadro come nella vita, sempre sullo sfondo. Esso rende visibile e profonda la scena sulla quale ha luogo l'azione di ogni creatura. Senza lo sfondo che custodisce tutte le prospettive, la vita e un quadro apparirebbero piatte, superficiali, impossibili da vivere. Eppure lo sfondo, sta sempre in fondo, in disparte, ritirato a tal punto che è possibile vivere dimenticandosi di esso, scordando che senza di esso nessuna scena, nessun mondo, nessun'azione verrebbero alla luce.
La scena del quadro è dominata dalla presenza del Signore. Egli è il polo di attrazione degli sguardi di tutti. Anche gli occhi torvi di Giuda faticano a staccarsi da Lui e il resto del corpo del traditore fa loro quasi violenza affinchè se ne distolgano. La stessa architettura della sala evidenzia il posto di Gesù che sta al centro dell'arco centrale. Tutti stanno attorno a Lui come le onde circolari prodotte da un sasso gettato in acqua. Tutto (anche il gesto di Giuda) sembra propagarsi dalla Sua immobilità. Del resto, il Signore ha appena terminato di pronunciare le parole che richiedono ai Suoi Apostoli la Memoria di Lui proprio attraverso il Dono appena elargito, il Grazie appena reso.
Eppure, il Signore che impegna al ricordo di Lui è avvolto da un mantello dello stesso colore dello Sfondo, vale a dire ciò che sempre viene dimenticato. Sembra che, proprio mentre il Signore attira tutta l'attenzione a Sè, egli, di fatto, la rimandi a colui che per la propria discrezione viene dimenticato. Gesù chiede di far memoria di Colui che è a tal punto delicato nel donare vita ed esistenza a tutti da non attirare considerazione e interesse. Chiedendo di ricordarsi di Lui, il Signore fa memoria del Padre. Proprio nell'istante in cui il Signore concentra tutto su di Sè, Egli distrae da Sè e attira verso il Mistero mite e benevolo del Padre. Il manto, che avvolge il Corpo del Signore, così famigliare e "alla portata" da essere facilmente toccato dal volto di Giovanni è la stessa profondità del Dio Invisibile del quale Gesù è l'Immagine definita e definitiva e Memoria umile come il Pane e il Vino.

Don Giovanni Cesare Pagazzi


Presentazione e commento

A cura di
Graziella Piergianni
Don Gianfranco Pizzamiglio


La realizzazione di un dipinto è un’avventura degli eterni percorsi dell'umano alla ricerca di valori infiniti.
L'arte, come la teologia, è un viaggio di luce in luce: attraverso un itinerario arduo, sofferto, giunge a spalancare un varco nella penetrazione del mistero supremo, che è Dio.
C'è una profonda unione tra bellezza e fede, poiché la bellezza è riflesso della luce di Dio e dell'anima di cui la fede si nutre.
Durante l'esistenza terrena, l'uomo già "convive" con Dio cogliendo in un'unica esperienza il bene, il vero e il bello.
La magnificenza della natura, l'armonia della musica, la magia della poesia, il vigore espressivo delle sculture e la capacità evocativa della pittura ci conquistano al mistero che celano e ci guidano all'intuizione di una nuova fulgente aurora.
Dischiudendo un orizzonte di bellezza, fanno germogliare in noi il gusto della contemplazione, dello stupore, della meraviglia, dove si fa strada la consapevolezza che solo Dio può abbracciare la nostra esistenza, ogni verità e bellezza.
Assieme ad Alfredo Pettinari, tutti noi, davanti ai quadri della Cappellina, abbiamo compiuto un cammino, un vero e proprio itinerario di fede.
Il nostro sguardo, catturato dall'intensità espressiva e dalla potenza dei dipinti, può trarre godimento dai colori e dalla bellezza delle scene rappresentate.
Gradualmente l'animo giunge a cogliere la pregnanza dei messaggi di fede espressi o sottesi alle immagini, agli sfondi, all'intarsio dei particolari.
Una prima visione, una seconda, una successiva ed ecco delinearsi più nitidamente, attraverso la rappresentazione dei misteri maggiori della fede, il senso cristiano del nostro nascere, vivere, morire.
Dal Fiat di Maria, l'inizio di una storia carica d'oscurità, ma anche di lampi di luce e proiettata verso il fulgore pieno.
Una storia che ancora continua, che abbraccia anche noi e che attende la sua definitiva compiutezza.
"La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,19-21).

LA PROFEZIA DI ISAIA,
CIFRA SIMBOLICA DELL'ULTIMA CENA

Con la rappresentazione dell'Ultima Cena, Alfredo Pettinari ha dipinto l'evento in cui si riassume e si rispecchia l'intera storia della salvezza e, nella sua originale sensibilità pittorica, l'ha rappresentata come il compimento della visione di Isaia del banchetto escatologico sulla cima del monte.
"Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti" (Is 25,6-7).
Nella limpida trasparenza di un mattino sereno, forse ci capita di vedere riflessa l’intera volta del cielo in una goccia di rugiada posata su di un fiore.
Così, davanti al dono supremo d'amore di Gesù, vediamo il compimento e la sintesi mirabile di un progetto d'amore.
La tela si dispiega nella dignità e nell'eleganza di un triplice arco, simbolo dell'abbraccio trinitario, che subito ci avvolge con la forza, la dolcezza, l'intensità vitale su cui riposa la salvezza del inondo e della storia.
Pare quasi di sentire su di noi lo sguardo di Dio, una carezza sull'universo intero, la "simpatia" con cui lo accoglie con tenero compiacimento, la premura con cui lo protegge, la sua fedeltà che lo conserva.
E questo abbraccio d'amore raggiunge l'apice d'intensità nell'Ultima Cena.
Non solo tre archi, ma anche tre piani espressivi si distendono nella tela per poi convergere in quello centrale: il piano paesaggistico, quello delle figure, quello delle immagini simboliche.
Essi ci accostano al mistero dell'amore divino, così traboccante, così incontenibile da trasmettersi a noi, prima nell'evento stupefacente e mirabile della creazione e poi nel supremo atto di donazione, che è la vita del Figlio.




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